lunedì 19 dicembre 2016

Rapper BelloFiGo viola Legge Mancino. Lui può, è negro.

La legge mancino non vale per tutti.

Gemma Gaetani per “la Verità”



La notizia risale a pochi giorni fa: il concerto del sedicente rapper dal nome - che è già un manifesto dello spessore del suo immaginario - Bello FiGo, in programma il 23 dicembre alla Latteria Molloy di Brescia, è stato cancellato. Conoscendone le «canzoni», verrebbe da dire: «Ci credo bene. Andrebbe denunciato, altro che ospitato sul palco».

Invece i motivi ufficiali della cancellazione sono questi: «Al di là delle possibili polemiche che avevamo messo in conto», hanno spiegato gli organizzatori dell’evento, «abbiamo ricevuto vere e proprie minacce che non ci permettono di far svolgere serenamente il concerto e garantire la sicurezza per il pubblico. Il clima di svago e divertimento che quell’evento avrebbe dovuto creare è stato irrimediabilmente compromesso».

Svago? Divertimento? A sconcertare, in questa vicenda ben diversa da un fantomatico razzismo degli italiani verso questo ghanese di Parma, in Italia da che era adolescente, è che si tenda a far passare il rapper swag (ovvero demenziale) come un artista discriminato per il colore della sua pelle. Sul web e non solo, anche presso quei punti di riferimento dell’intellighenziona radical chic come la rivista Rolling Stone, sono in parecchi a difenderlo, sostenendo che questo presunto cantante porti avanti intelligenti provocazioni che il gretto pubblico italiano dal sangue razzista non capirebbe.

BELLO FIGO MUSSOLINI
Costui è un ragazzo poco più che ventenne. Ha iniziato la «carriera» col nome d’arte Gucci Boy, ascendendo nel mondo musicale che si autopromuove su Youtube con «canzoni» dai titoli quali - perdonate la volgarità, ma è necessaria a capire di cosa stiamo veramente parlando - Mi faccio una segha, Stasera scopo, Culo, Tette, Pompini, Mi faccio tua mamma, Ce l’ho grosso, Ho scopato la sua ragazza.

Dopo che la casa di moda Gucci lo ha invitato a cambiar nome, si è ribattezzato Bello FiGo e si è per così dire buttato (seppure emigrato in Italia da ormai dodici anni) sulla politica, sfruttando la figurina del «migrante». Ha sfornato una canzoncina orrenda sul referendum costituzionale, apparentemente a favore di Renzi, un’altra su Berlusconi. Ma, soprattutto, ha prodotto un brano atroce sull’immigrazione intitolato Non pago affitto. Ed è quest’ultimo ad avergli dato ciò che pare bramare più di ogni altra cosa: la celebrità.

Nella canzone in questione, Bello FiGo si fa «portavoce» degli immigrati accolti dal nostro Paese, sciorinando una serie infinita di sberleffi agli italiani: «Io non pago affitto», «Appena arrivati in Italia abbiamo case, macchine, fighe», «Io non faccio l’operaio / Non mi sporco le mani», «Sono un profugo», «Matteo Renzi ha detto che è casa nostra / quindi tutti i miei amici votiamo tutti Pd», «Io dormo in albergo a quattro stelle», «Vogliamo wifi e anche stipendio».

Secondo i soliti intellettuali di terza mano sparsi per questo nostro povero Stivale, si tratta - sentite - di un modo per distruggere gli stereotipi sull’immigrazione. Ma l’accoglienza negli alberghi è una verità, altro che stereotipo. Tanto che Bello FiGo, invitato giorni addietro da Maurizio Belpietro a Dalla vostra parte, ha affermato di cantare cose vere, cose che i suoi «amici profughi » pensano, e di farlo «tramite le canzoni per difenderli un po’».

Addirittura, di fronte ad alcuni cittadini di Rosarno in collegamento, persone che vivono in una palazzina senza acqua, luce e riscaldamento e facevano presente «al signor rapper che l’affitto glielo paghiamo noi con le tasse», ha risposto: «Va bene lo stesso, l’importante è che ce l’abbiamo». Capito? Nell’ospitata in studio da Belpietro, Bello FiGo si è preso le sacrosante bordate di una inorridita Alessandra Mussolini.


C’è però un aspetto di questa faccenda che finora è rimasto sottotraccia, ma che è fondamentale per capire come sia ridotto questo nostro Paese. In Non pago affitto, Bello FiGo non si limita a dire che gli immigrati vogliono il wi-fi e non hanno intenzione di lavorare. Ma pronuncia frasi come (perdonate ancora la volgarità, ma il testo bisogna conoscerlo per intero): «Noi vogliamo le fighe bianche / scoparle in bocca», «Ho bisogno di una figa bianca / perché la mattina mi sveglio sempre con il c...o duro».

Poi la minaccia: «Un sacco di fighe bianche saranno scopate», «apri la bocca ti lancio un po’ di pioggia». Questa è un’istigazione maschilista all’odio verso le donne. Le donne bianche, per la precisione: quindi è anche discriminazione razziale. Questo è, inoltre, sessismo, cioè concezione oggettuale della donna intesa come mero sfogatoio di impulsi sessuali. Il tutto è ancora più grave perché Bello FiGo pone in canzone il diritto a reclamare una cosa che realmente accade.

Secondo il Dossier statistico immigrazione 2016 realizzato dal centro studi Idos, gli stranieri in Italia commettono il 38,7% delle violenze sessuali. Le cronache, nel corso degli ultimi anni, ci hanno dato notizia di stupri, aggressioni e molestie di ogni tipo. Non solo a Colonia, ma pure nel nostro Paese. Eppure Bello FiGo non si fa alcun problema nel prendersi gioco delle donne italiane che vengono abusate e maltrattate. Come si sentirebbe Bello FiGo se un italiano cantasse le stesse cose rivolte alle donne profughe? A sua madre?
Viene da chiedersi anche dove stiano i volenterosi difensori della dignità femminile, sempre pronti a gridare al femminicidio e al sessismo laddove magari non c’è, e a mettere la testa sotto la sabbia quando c'è ed è di matrice non italiana. In questo caso, tacciono.

Perché Bello FiGo appartiene a una minoranza, per quanto aggressiva e predatrice. Poiché si atteggia a profugo, tutto gli è concesso. Può dire quello che vuole, può farsi beffe all’infinito degli italiani e, soprattutto, delle donne italiane come me e moltissime altre. Le cui tasse pagano davvero la sua accoglienza.

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